Secondo il
primo assioma della comunicazione " È impossibile non comunicare. In
qualsiasi tipo di interazione tra persone, anche il semplice guardarsi negli
occhi, si sta comunicando sempre qualche cosa all'altro soggetto".
(Watzlawick, P., Beavin, J.H., Jackson, D.D. in Pragmatica della comunicazione
umana). E allora perché spesso si ha la percezione di non riuscire a farlo?
<<non
riesco a comunicare con i miei genitori>>
<<comunicare
con te è impossibile!>>
<<con il
mio capo non riesco proprio a comunicare>>
Credo si debba fare un po' d'attenzione: il comunicare non implica la comprensione di quello che diciamo, può essere un tentativo di esprimersi nel desiderio di essere successivamente compresi. Più informazioni si danno al nostro interlocutore più egli riuscirà a scorgere il significato delle nostre parole nei nostri termini. Il significato delle nostre parole tuttavia non è sovrapponibile a quello degli altri pertanto quando parliamo con qualcuno dovremmo fare attenzione ai significati dell'altro.
Stessa cosa
vale per i silenzi.
Trascorrere del
tempo insieme può essere un vantaggio quando ci permette di creare
significati condivisi grazie alle esperienze vissute e
co-costruite. Capire a colpo d'occhio un nostro intimo, comprendere il suo
senso è un'aspirazione e al tempo stesso un rischio perché il pensiero
implicito è sempre in agguato pronto a trovare una logica sottesa basata sui
nostri costrutti.
Pensando a questo anni fa sono piombata nel dubbio di non riuscire a farmi comprendere e di non poter mai "afferrare" qualcuno. Così mi son data da fare e sono andata a curiosare ad incontri e convegni di tutti gli orientamenti, mi sono confrontata con vari colleghi e con le posizioni dei filosofi sulla possibilità dell'esistenza o meno di un mondo che si possa definire "vero" passando dai rassicuranti pensieri dei realisti all'idealismo più radicale. Ma nessuna posizione riusciva a convincermi, nessuna riusciva ad essere coerente fino in fondo.
Poi ho
scoperto George Kelly e guardando il mondo attraverso
la lente della sua teoria la mia ricerca ha assunto finalmente senso.
Ora penso che
comunicare non basti. Il desiderio di comprenderci non è un lusso ma un’ambizione
che possiamo perseguire iniziando con il far attenzione ad alcune piccole cose:
La prima è di
sicuro "non dare per scontato che quello che l'altro dice abbia
un'unica "vera" interpretazione, che poi, diciamocelo
francamente, sarebbe la nostra!
Un'altra grossa
mano ce la da il Chiedere, Chiedere e Chiedere, in questo modo non solo
eviteremo il rischio di raccontarci una storia privata in cui l'altro è
totalmente assente ma, cosa ancora più sorprendente, scopriremo l'altro, il suo
mondo di significati e riusciremo ad avvicinarci.
Al terzo posto
del podio metterei l'essere sempre curiosi di scoprire quanti mondi possibili
esistono guardando con gli occhi degli altri, questo ci permetterà di non
essere sopraffatti dalle differenze, ma di rimanerne affascinati
« Solo gli imbecilli non hanno dubbi.
Ne sei sicuro? Non ho alcun dubbio! »
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(Luciano De Crescenzo, Il
Dubbio)
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