Con i pazienti mi capita molto spesso di affrontare il "problema" delle aspettative.
Aspettative spesso deluse che comportano sofferenza ed allontanamento dalla fonte deludente.
Mi accorgo di come sia impossibile vivere senza essere proiettati nel futuro e proprio le aspettative ne sono la dimostrazione: come si può agire una qualsiasi scelta senza attendere un risultato desiderabile o meno, senza cercare di anticipare immaginativamente quello che potrà accadere? impossibile.
Anche le domande nei primi colloqui denotano questa spinta al futuro: <<starò meglio? quanto tempo ci vorrà? dopo quanto tempo avrò dei benefici?>>.
La risposta è quasi sempre la stessa <<il tempo lo si decide insieme come insieme si sentirà quando le cose stanno cambiando, di certo non sarà un percorso molto breve, ma neppure infinito e soprattutto potrà decidere quando sente di voler interrompere di farlo, meglio se me lo comunica con un po' di anticipo>>.
Mi sono ritrovata a capire, troppo tardi ahimè, che ciò che ci aspettiamo dagli altri e dai noi stessi ci esprime moltissimo.
Il postulato fondamentale dice che "i processi di una persona sono psicologicamente canalizzati dai modi in cui anticipa gli eventi" questo diceva Kelly (G. A. Kelly, Basic Theory, in The Psycology of Personal Construct, Norton, New York, 1955, vol. 1, cap 2), un po' come se prima di percepire immaginassimo l'andamento delle cose.
Quello che immaginiamo potremmo dire che è la nostra aspettativa e quindi questa canalizzerà i nostri processi di costruzione degli eventi.
Aspettarsi di affrontare egregiamente un lavoro potrebbe esprimere il proprio bisogno di conferma d'essere intelligenti, preparati ed efficienti, l'aspettarsi di essere stimati e ricercati potrebbe esprime il proprio bisogno di sentirsi amabili. Agendo sondiamo il terreno per verificare le nostre ipotesi ed acquisire informazioni per perfezionare il nostro sistema predittivo. Il fallimento in questi casi è tanto più devastante quando più l'essere intelligente, degno di stima o efficiente costituisce la nostra costruzione nucleare.
Il postulato fondamentale dice che "i processi di una persona sono psicologicamente canalizzati dai modi in cui anticipa gli eventi" questo diceva Kelly (G. A. Kelly, Basic Theory, in The Psycology of Personal Construct, Norton, New York, 1955, vol. 1, cap 2), un po' come se prima di percepire immaginassimo l'andamento delle cose.
Quello che immaginiamo potremmo dire che è la nostra aspettativa e quindi questa canalizzerà i nostri processi di costruzione degli eventi.
Aspettarsi di affrontare egregiamente un lavoro potrebbe esprimere il proprio bisogno di conferma d'essere intelligenti, preparati ed efficienti, l'aspettarsi di essere stimati e ricercati potrebbe esprime il proprio bisogno di sentirsi amabili. Agendo sondiamo il terreno per verificare le nostre ipotesi ed acquisire informazioni per perfezionare il nostro sistema predittivo. Il fallimento in questi casi è tanto più devastante quando più l'essere intelligente, degno di stima o efficiente costituisce la nostra costruzione nucleare.
Per questo se va male proprio dove il rischio di fallimento è più temibile e invalidante spesso succede che ci si impegnerà fortemente anche nell'evitare quelle situazioni!
Potremmo anche pensare di non essere capaci o desiderabili e quindi trovare invalidanti i successi o le attenzioni.
Questa semplicistica digressione ci serve per tornare alle aspettative, quelle di cui vorrei parlare un po' qui per lo meno.
La funzione principale di ogni previsione è la possibilità di muoverci, se non posso minimamente anticipare sono nel caos dell'immobilità.
Un'aspettativa delusa può essere una grande scoperta se riusciamo ad integrare le informazioni che ne derivano al nostro sistema di conoscenza del mondo altrimenti resterà un rammarico e costituirà un limite, un tabù, una vergogna.
Potrei quindi buttarmi nella sperimentazione e testare se le mie ipotesi sul mondo, le mie aspettative sono "buone" oppure no, così riuscirei a fare moltissima esperienza, aumentare la mia conoscenza del mondo e rendere le mie previsioni sempre più accurate. Ma perché non lo faccio? perché non mi butto a kamikaze sempre e comunque?
Proprio lì porrei l'attenzione: le esperienze in cui sento un freno sono la possibile fonte di un'invalidazione profonda e quindi, meglio evitare no?
Certo che è meglio evitare, ma rifletterci per sentire dove ho posto i miei limiti mi dirà moltissimo di me e del mio futuro.
"Avremo voluto, avremo dovuto, avremo potuto. Le parole più dolorose del linguaggio". (Jonathan Coe in I terribili segreti di Maxwell Sim)